Care socie e cari soci,
ormai prossimi alla Pasqua vi scrivo per annunciarvi un altro improvviso lutto che ha colpito anche la famiglia del SAE. Il 23 marzo è morto a Verona Placido Sgroi, più volte presente alle nostre sessioni, studioso di valore e docente di ecumenismo e di teologia morale sia a Verona sia all'Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino di Venezia. Era nato nel 1960. Dopo Marianita l'ecumenismo veronese registra un'altra, prematura perdita.

Il fatto che la sua morte sia avvenuta nella prossimità della Pasqua ci impone di riflettere ancora di più sul mistero della morte e della risurrezione. La risurrezione è una certezza di fede, non un'evidenza. Non c'è alcuna descrizione evangelica del risorgere. È l'iconografia occidentale e non già il vangelo a raffigurare Gesù che esce vittorioso dal sepolcro. Nei testi c'è invece il racconto di quanto le donne avevano intenzione di fare per onorare un morto e non già per diventare testimoni di un vivente. In Marco (il vangelo letto dalla Chiesa cattolica quest'anno) le donne non incontrano il Risorto, si imbattono solo in chi lo annuncia al fine di affidare a loro il compito di dire ai discepoli e a Pietro di recarsi di nuovo in Galilea.

I versetti di Marco (16,1-8) producono sconcerto. Non lo fanno a motivo dello spavento avvertito dalle donne. Di fronte alle manifestazioni divine è tratto antico; anche Abramo, all'atto di stabilire il patto tra le bestie divise, fu assalito da un grande terrore (Gen 15,10). Quanto è arduo da comprendere è perché le donne, incaricate di un compito tanto alto quanto aperto alla vita, lo disattendono: «Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno perché erano impaurite» (Mc 16,8). L'annuncio che avrebbe dovuto riempire di gioia il cuore dei discepoli è consegnato all'oscuro carcere del silenzio.

Vi è un versante profondo nel far memoria di quella reazione. «Risurrezione» è una parola che abbiamo udita fin dall'infanzia. È giusto che sia così, essa è infatti posta a fondamento della nostra fede. Eppure, quando nel nostro cuore pensiamo al risorgere, ci risulta impossibile definirlo. Conosciamo che significa vivere da mortali mentre ignoriamo cosa comporta vivere da risorti. Ora non sappiamo cosa vuol dire essere immersi in una vita giunta, dopo essere passata attraverso la morte, alla sua intramontabile pienezza. Siamo di fronte a una realtà inaudita connessa a uno stupore ricco di santo timore. La drammatica chiusa del vangelo di Marco ci comunica che l'orizzonte della risurrezione, senza il quale la nostra fede è vuota (1 Cor 15, 14), non è racchiudibile nel cerchio della nostra esistenza destinata a finire. Il confronto con esso ci scuote fin dalle fondamenta. Ne abbiamo coscienza in particolare quando ci troviamo di fronte a morti che sopraggiungono quando si è lungi dall'essere «vecchi e sazi di giorni».

In vista delle nostre prossime scadenze e dei nostri prossimi appuntamenti avevo intenzione di scrivervi altre cose; lo farò ma non ora. Adesso è il momento, specie da parte di chi lo ha conosciuto e apprezzato, di elevare la nostra preghiera per Placido e di esprimere la nostra vicinanza alla moglie Carla e al figlio Lorenzo. I prossimi diventano ancor di più giorni in cui vivere con intensità nel segno di Gesù Cristo morto e risorto per noi.

Un fraterno saluto

Piero