Il 27 luglio alla sessione del SAE in corso ad Assisi la meditazione del pastore valdese Ermanno Genre ha inaugurato la giornata dedicata al tema “La preghiera e la mensa”, contenuta tra la celebrazione mattutina della Parola e il culto di Santa Cena - Parola e Pane -, la sera. Ha ospitato il culto, in Assisi alta, la Pro Civitate Christiana, associazione laica fondata da don Giovanni Rossi nel 1939 per contribuire a portare l’annuncio di Gesù Cristo in dialogo con le diverse componenti della cultura e della vita sociale. Don Tonio Dall’Olio, presidente della Pro Civitate, ha accolto i convegnisti del SAE nel giardino della Cittadella insieme a padre Egidio Canil, referente per i francescani della Commissione dello Spirito di Assisi, che porta avanti l’intuizione sul dialogo interreligioso di Giovanni Paolo II. “Pace e giustizia sono dono di Dio. Quando ci rivolgiamo a lui comprendiamo che non è solo nostro Padre, ma Padre di tutti. Oggi è il 27 del mese, giorno che, ogni mese, insieme a Religion for peace abbiamo deciso a livello mondiale di dedicare alla preghiera per la pace nel mondo. Preghiamo con i cristiani, con ebrei, buddhisti, indu e musulmani. Affidiamo anche a voi questo impegno per farlo insieme”.
Tonio Dall’Olio ha ricordato che proprio alla Pro Civitate si tenne nell’agosto 1966 il primo incontro in Italia di dialogo interreligioso con esponenti delle religioni cristiana, ebraica, islamica, buddhista, animista e indù. L’iniziativa e il ruolo di don Rossi, insieme ad altri, di pioniere del dialogo interreligioso in Italia, sono stati oggetto - ha spiegato il presidente - di un documentario prodotto due anni fa dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso in occasione dei 50 anni della dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”.
Nel corso del culto di Santa Cena, ospitata nel giardino della Cittadella e presieduta dal pastore metodista Antonio Squitieri, la predicazione ha commentato uno dei sommari “indicatori” degli Atti degli Apostoli –“Erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli, nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere – ripercorrendone i quattro momenti oggetto della perseveranza, che hanno in comune l’essere risposta a un dono di Dio in umiltà e gioia. Il pastore ha concluso dicendo: “Questo testo è un modello essenziale per la nostra relazione ecumenica di cristiani che esprimono tradizioni diverse ma sono uniti in un solo corpo e spirito, sono uniti nella stessa fede per testimoniare insieme che uno solo è il Signore, una sola fede, un Dio padre di tutti che è sopra tutti ed è in tutti”. Durante il culto, animato vivacemente dal Coro ecumenico della sessione guidato dal maestro battista Emanuele Aprile, è stata raccolta una colletta i cui proventi sono stati devoluti a favore di un’associazione umbra di genitori di giovani con handicap la cui sede e attrezzature sono state danneggiate nel terremoto che nel 2016 ha scosso l’Italia centrale.


“La preghiera e la mensa”, il tema della giornata, è stato anche al centro della tavola rotonda di metà mattinata alla Domus Pacis a cui hanno partecipato il teologo Andrea Grillo, docente presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, l’arciprete ortodosso Traian Valdman e il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, pastore Luca Maria Negro. I tre relatori hanno presentato la riflessione e l’esperienza delle rispettive chiese su “Liturgia: cosa custodire, cosa mutare?”, domanda che ha evidenziato diverse convergenze ed esigenze comuni alle tradizioni cattolica, ortodossa ed evangelica.
Rispetto alle Chiese riformate, Luca Maria Negro, citando il manuale di Ermanno Genre Il culto cristiano. Una prospettiva protestante, ha definito la liturgia situata “al crocevia tra tradizione e innovazione” e perciò chiamata a evitare la fossilizzazione della tradizione e un effetto scompiglio dell’innovazione. Riprendendo un’affermazione di Paolo Ricca tratta da un Quaderno della Rete di liturgia della FCEI, il pastore ha evidenziato che la coralità – pluralità di voci, di linguaggi, di strumenti – è la principale caratteristica del culto cristiano. Nel procedere della discussione è emerso che liturgia è un termine eminentemente ecumenico, non solo perché oggetto di sperimentazioni nelle grandi convocazioni ecumeniche del Consiglio mondiale delle Chiese, alle quali molte celebrazioni attingono, ma perché presenta problemi comuni alle diverse tradizioni. Primo tra tutti la restituzione dell’”opera del popolo” – questo il significato della parola liturgia – al popolo dopo un millennio di appannaggio dei ministri di culto. Polifonia, sinfonia, koinonia, gli altri elementi necessari presentati dal presidente della FCEI, che ha riassunto il lavoro fatto sia dal Gruppo Musica evangelica della Federazione, sia dalla Commissione BMV (Battista-metodista-valdese) per il culto e la liturgia realizzando nuovi innari, strumenti didattici e promuovendo gruppi liturgici di laici insieme a pastori o pastore.
Andrea Grillo ha attinto ai principi della riforma liturgica attuata dal Concilio Vaticano II che ancora trova resistenze e ombre ma anche luci che hanno aperto una strada. Prima di tutto, dovrebbe essere ormai chiaro che la liturgia non è una questione di chierici che hanno di fronte dei “clienti”. La responsabilità è di tutti, anche a diversi livelli di ministero. Il teologo, “guardando cosa c’è in gioco nella celebrazione”, ha problematizzato il binomio custodia e mutamento, mostrando cosa significa “sana tradizione” e “vera custodia”, e come sono cambiate, tra altre, le nozioni di “azione rituale”, “partecipazione attiva”, “comunione non nel significato ma nell’azione”. Inoltre, il recupero della tradizione come pensato dal Concilio – “la grande svolta che ci riorienta a una fedeltà che assume il mutamento come parte integrante dell’essere fedeli” – afferma “il primato dell’uso sull’abuso” e richiede l’assunzione della “traduzione” come forma efficace ed esigente nel contesto di una “società aperta”. Il lavoro di traduzione “della forma, della materia, del ministro partono da differenze nella comunione che diventano articolazioni della comunione, nuova ricchezza per le diverse tradizioni”.
Traian Valdman ha osservato che non c’è stato per la Chiesa Ortodossa un Concilio Vaticano II e che durante molti secoli il monachesimo, per la sua natura, ha “imposto” alle Comunità ortodosse il suo vissuto radicale del vangelo così che “una chiesa mondanizzata ha ricevuto l’appello alla penitenza al digiuno, alla continua confessione, con effetti positivi e negativi fino a oggi. La teologia della deificazione e il vivere la liturgia sulla terra come fossimo nel cielo ha dato origine a una ‘esplosione’ della celebrazione che ha portato a riservare il canto a pochi cantori specializzati e ad allontanare la popolazione. L’esperienza storica sotto il dominio islamico e sovietico impediva poi di perseguire altri modi di evangelizzare fuori dalla liturgia”. Oggi – ha concluso - ci rendiamo conto che i modi non corrispondono alla vita di oggi ma il tema non ha trovato unanimità nella preparazione del Sinodo pan-ortodosso per cui non è stato inserito nell’ordine del giorno a Creta. Non sono assenti però cambiamenti, attraverso traduzioni e aggiornamenti dei libri liturgici”. Anche la modalità del “digiuno” è uno dei temi sul tavolo Per riformare “occorre sapienza e pazienza”.


Venerdì la sessione SAE apre con la meditazione del priore dell’Abbazia di Chevetogne, Lambert Vos, segue la trattazione del binomio “accoglienza e profezia” da parte del teologo Giovanni Cereti. Nel pomeriggio la restituzione dei gruppi di studio e laboratori in plenaria attraverso interviste a cura di Riccardo Maccioni, caporedattore di Avvenire, e una suite poetico-musicale di e con Piero Stefani e Maria Luisa Sgargetta, per poi celebrare la preghiera ecumenica al termine della quale l’assemblea accoglierà lo Shabbat con la guida di Sandro Ventura. In serata l’assemblea dei partecipanti alla sessione.