Mercoledì 25 luglio 2012, h18,30 ha avuto luogo il Culto Evangelico con Santa Cena, presieduto dalla Pastora Maria Bonafede, Moderatora della Tavola Valdese, che nella predicazione su Mt 14,22-33 ha detto tra l’altro:  “La barca nel lago in tempesta, i discepoli impauriti dal vento che solleva le onde ci dice chiaramente che si tratta della fiducia minacciata. Ma l’immagine del mare come raffigurazione del male incontrollabile e profondo è anche molto chiara e antica come immagine della stessa esperienza umana che si trova improvvisamente sul punto di essere travolta dall’abisso”. E’ immagine però anche tragicamente attuale “delle carrette che vagano nel Mediterraneo stipate di profughi disperati eppure pieni di intima speranza, vittime e al contempo simboli di un’ingiustizia profonda, globale”. E’ al contempo l’immagine di un mondo in qualche modo nuovo, data la “chiara consapevolezza che il mondo nel quale siamo nati e che abbiamo contribuito a creare è definitivamente finito”.

Dove porta oggi il discepolato? si è chiesta la Pastora.“Il nostro testo (Mt 14,22-33) lo dice con chiarezza: Gesù obbligò i suoi discepoli a montare in barca.  Per di più senza di Lui”. Noi “potremmo leggere questa costrizione come una vocazione, un invio, i più difficili di tutti: costretti a salire in barca senza di Lui”, che certo verrà, ma si tratta di precederlo, come dopola Pasqua. Ossia “i discepoli sono chiamati, “costretti” da Gesù a vivere l’esperienza della comunità intera, ad avventurarsi nella vita senza più garanzie”. Così “su quella barca la chiesa è obbligata a scoprire di nuovo la sua vocazione o a perderla del tutto, a scoprire la presenza di Dio come salvezza o a perdersi per sempre”.

Forse “questa è la nostra vocazione oggi: passare questa lunga notte a vivere la vicenda di tanta parte dell’umanità che non ha più radici, che non vede una prospettiva”. Ma “è possibile tornare a sperare sapendo che stare nella barca e remare sono azioni piene di senso perché avvicinano la comunità al suo compito”. Oggi “le fedi viventi” sono insieme su questa barchetta che rischia di essere sopraffatta dall’abisso: “chissà se non sia questa oggi la necessità, la porta stretta attraverso cui il Signore fa passare la chiesa!”

Rivolgendosi alla comunità ecumenica, “certamente - ha detto - questo testo dell’evangelo è scritto per dirci che nel cuore della notte più buia e minacciosa Dio torna a parlare. Dice: Non temete, sono io. Questo testo ci è stato tramandato per ricostruire la fiducia e annunciare che Dio viene nella nostra vita e nella vita del mondo con la sua compassione, che si può resistere al male e vincere”. Dio vince il potere del male, la solitudine dei discepoli e la loro poca fede.  Matteo “dice in un modo ardito che i discepoli, dopo l’incontro con Dio e la sua parola, possono osare l’inaudito e Isaia dice come: Quelli che sperano nell’Eterno acquistano forze nuove, mettono ali come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano (Is 40,31).

Gesù “incoraggia il sogno di Pietro” di andargli incontro sulle acque, “incoraggia la sua voglia di rischiare, la sua fede ed anche il coraggio di mettere Dio alla prova”. Il suo cammino “conduce oltre l’abisso fino al Redentore, un cammino contro corrente, reso sensato solo da Dio”.