Sabato 27 luglio - Restituzione dei laboratori

Una delle ultime plenarie in sala alla sessione di formazione ecumenica del Sae ad Assisi è stata la “restituzione” dei laboratori, i cui referenti sono stati intervistati da Riccardo Maccioni, caporedattore di Avvenire.

Del laboratorio coordinato dal critico Andrea Bigalli e dalla regista Gianna Urizio, che ha proposto uno sguardo mondiale sulla dialettica tra povertà e ricchezza nel cinema, i conduttori hanno espresso le modalità e le finalità. I partecipanti sono stati invitati a imparare ad avere uno sguardo altro dal proprio che aiuta a vedere le contraddizioni del reale. Il cinema, ha detto Bigalli, è un modo di approccio a tutti i tipi di immagine. Mentre il mondo in cui viviamo mostra una alterità culturale e di genere, intorno a noi abbiamo un immaginario ossessivo di stereotipi che ci assedia.

Il laboratorio ha cercato di guardare come i poveri guardano se stessi. Secondo Urizio, la povertà può essere narrata e va guardata con occhio altro e capita. Se non abbiamo uno sguardo plurale, anche su Dio, sguardo che alcuni dei film in visione hanno proposto, non riusciamo a cogliere la complessità del mondo. I lavori hanno anche proposto un metodo di discussione, quindi hanno rappresentato anche un modo altro di essere.

La sperimentazione ha caratterizzato anche il laboratorio sulla narrazione e la scrittura con Marco Campedelli e Raffaella Baldacci: si è formata una piccola comunità narrativa che si è raccontata a partire dal proprio vissuto. La ricchezza e la povertà nei loro significati diversi e plurali sono state analizzate partendo dalla dimensione biografica. Rintracciare ricchezza e povertà nella propria biografia, ha detto Campedelli, significa riscoprire la poliedricità e la polivalenza di questi termini e la povertà affettiva, socio-economica e religiosa che molti possono avere vissuto. Un elemento importante è il lavoro sulle parole: abitarle in un processo narrativo dovrebbe farcele percepire come orizzonte, come casa da abitare. Nel laboratorio è emersa anche l’idea di scrivere una lettera alle chiese per invitarle a raccontare delle storie belle, a vivere il racconto come dono, a confrontarsi sulle questioni fondamentali che toccano l’esistenza – i bilanci economici, le scelte ecologiche, gli stili di vita -, a diventare luoghi significativi di contro-narrazioni sul mondo. Infine l’importanza di investire sulla formazione culturale, sull’educazione alla cittadinanza e ai diritti umani, percepite come priorità. Non ultima la teologia, definito come bene di prima necessità: secondo i partecipanti la formazione in questo campo dovrebbe essere prioritaria per favorire in tutti un’emancipazione teologica.

Il gruppo sul trinomio giustizia, pace e salvaguardia del creato, moderato da Brunetto Salvarani, ha lavorato tra memoria e futuro. E’ stato rilevato che sono cambiati gli equilibri geo-politici, non siamo più nell’Europa del 1989 prima della caduta del muro, quando a Basilea fu celebrata la prima Assemblea ecumenica europea. E’ cambiato il concetto di missione, avanza la realtà dei fondamentalismi, è cambiata la geografia delle religioni: oggi siamo di fronte a un cristianesimo globale. Il gruppo ha immaginato delle buone pratiche concrete da proporre alle chiese tali che si riesca a mantenere la memoria della custodia del trinomio. Due sono i percorsi individuati: il primo è il rilancio della Charta Oecumenica, firmata dalle Chiese europee nel 2001, un’opportunità di crescita non sufficientemente utilizzata, di cui si incoraggia la diffusione a tappeto in Italia. Il secondo percorso è la diffusione della dichiarazione di Abu Dhabi, che ha dato frutti preziosi come l’istituzione di dodici luoghi di culto cristiani negli Emirati arabi uniti. Il Sae, è stato detto, può avere un ruolo nella promozione del testo a livello locale nelle parrocchie e nelle chiese.

Il gruppo “Accoglienza, integrazione, dignità umana”, ha indagato se ci sia e quale sia la cifra costitutiva di queste tre dimensioni e l’ha trovata nella parola “ospitalità”. In un secondo momento i partecipanti hanno ricercato le motivazioni che spingono a pensare e a fare ospitalità per poi narrare delle buone pratiche nell’ospitalità nel mondo pentecostale, ortodosso e nell’islam. Nella discussione è emerso che i codici scritturistici di ogni tradizione religiosa sono codici antirazzisti. L’ospitalità e il dialogo possono portare alla riscoperta di relazioni sociali e civiche e a ripensare alla nostra identità come ospitalità e frutto di relazioni.

Il laboratorio “Crisi ecologica, vecchie e nuove povertà” ha lavorato in quattro tappe: un’analisi del contesto, che si è mossa tra i cambiamenti climatici e la riduzione dei beni comuni; il pensiero teologico cristiano sulla situazione; la riflessione liturgica attorno a una celebrazione del creato; le buone prassi, una delle quali può essere “la mia conversione ecologica per l’anno 2019-2020”: l’assunzione di un impegno nella propria vita personale e comunitaria.

E’ possibile un’altra economia? Di questo tema si è occupato il settimo laboratorio che ha adottato il metodo “vedere giudicare agire”, che ha incluso la riflessione scritturistica sui modelli di città. E’ stato analizzato il nodo economia – finanza; si è parlato dell’economia francescana per il bene comune, dell’economia di comunione, di consumo critico e di una nuova politica per governare il mercato della finanza.

Nel laboratorio “La giustizia e la vita delle donne” è stata esposta una ricerca sul fenomeno del caporalato che intercetta e schiavizza le donne nel silenzio generale. Dall’analisi della realtà si è passati allo studio biblico sulle figure di Agar e Tamar, donne che hanno subito esclusione e violenza. Dalla presentazione è emerso che occorre fare un’altra esegesi di questi passi: la schiava Agar è cacciata dagli uomini ma protetta da Dio e Tamar esercita il suo diritto di dire di no. Nelle Scritture le donne trovano un riscatto. E’ stato poi presentato l’Appello ecumenico di dieci chiese italiane contro le violenze sulle donne e per una presa di responsabilità e un’educazione nelle comunità ecclesiali e nella società, a cui è seguita nel marzo del 2019, su iniziativa di donne cristiane, ebree, musulmane, buddhiste, induiste, la nascita dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne. L’organismo si pone in continuità con l’Appello del 2015 per sensibilizzare le chiese, le religioni e la società su un nuovo modo di rapportarsi tra uomini e donne che escluda la violenza, promuova il dialogo e costruisca il mondo nella giustizia.