Venerdi 26 luglio - Testimonianze ecumeniche

Da tre diverse aree provengono le testimonianze ecumeniche su ricchezza e povertà che si sono alternate nell’ultimo pomeriggio della sessione ecumenica del Sae in chiusura sabato ad Assisi. A Milano in piazza Greco il Refettorio ambrosiano, ideato durante l’Expo dallo chef Massimo Bottura e da Davide Rampello della Triennale, ogni sera serve i pasti a un centinaio di persone in condizioni disagiate. E’ una mensa sui generis, improntata alla bellezza, per la quale sono stati chiamati a raccolta chef stellati che hanno insegnato ai volontari a preparare raffinati menù attraverso il riutilizzo di derrate alimentari invendute donate alla Caritas ambrosiana dai mercati generali e dalle aziende. «Il refettorio è una realtà a molte dimensioni che non fornisce solo cibo ma costruisce percorsi di accompagnamento e di promozione umana - hanno spiegato Marco Colombo e Laura Lavizzari -. A fianco della chiesa di Greco c’è un vecchio teatro degli anni ‘30 ristrutturato da artisti del Politecnico che lo hanno reso un luogo unico di ristoro del corpo e dell’anima, improntato alla solidarietà e all’educazione alla bellezza. Per entrare si passa attraverso la “porta dell’accoglienza” che è una copia della porta di Lampedusa e riconduce a quella realtà. Dopo il periodo dell’Expo la struttura ha acquisito un’organizzazione permanente ed è gestita dalla Caritas e dall’associazione “Farsi prossimo”. Il Refettorio organizza incontri ecumenici e di dialogo interreligioso, serate di testimonianza, scambio di esperienze in un quartiere accogliente e aperto alla multiculturalità in cui c’erano già iniziative solidali e altre ne sono nate su influsso del Refettorio che è cresciuto anche per impulso del parroco don Giuliano Savina. I testimoni parlano di un “patto di alleanza” che si può stipulare con gli ospiti.

A Bologna, al carcere della Dozza, è nata alcuni anni fa un’esperienza di dialogo interculturale e interreligioso che ha prodotto il docufilm Dustur (Costituzione), regista Marco Santarelli, proiettato alla sessione giovedì sera. L’esperienza è stata avviata dal monaco Ignazio De Francesco, della Piccola Famiglia dell’Annunziata, fondata da Giuseppe Dossetti, studioso di letteratura cristiana antica e di fonti islamiche, con alle spalle dodici anni in Medio Oriente dove è stato testimone della seconda Intifada. «Un amico volontario alla Dozza mi disse che c’erano tanti musulmani - ha raccontato rispondendo alle domande di Riccardo Maccioni, caporedattore di Avvenire - ma non volli fermarmi ai soliti servizi che si fanno agli ospiti. Ho cercato di orientare il lavoro verso approcci culturali, per allargare la mente del detenuto che rischia di diventare una cella». Sono iniziate così nella biblioteca del carcere, in collaborazione con altri amici impegnati nel dialogo, le letture di testi islamici, gli scambi sulle primavere arabe e poi l’idea di leggere le costituzioni dei paesi arabi e l’italiana con i detenuti. «Il carcere è un luogo di elaborazione culturale molto importante, è il punto d’un incontro di culture che ci consente di pensare a come progettare il futuro, a come fondare un Islam europeo e italiano». Il passaggio successivo è stato il tema religioni e cittadinanza, favorito da un’esperienza di giovani di diverse fedi che hanno esplorato i luoghi di culto e le comunità della città. «Da questo progetto, che ha generato il docufilm “I nostri”, ci è venuta da idea di portare i giovani in carcere con l’obiettivo di analizzare il tema delle religioni per la cittadinanza. Nella realtà della detenzione la religione è molto importante: emerge nelle potenzialità positive e nella criticità. Il passaggio dall’ateismo alla fede è forte. Abbiamo storie molto commoventi. In carcere si sperimenta la potenza di senso di Gesù Cristo anche come mito».

Un terzo della colletta raccolta durante la sessione sarà devoluta ad Amico volontario che ha subito recentemente il furto di strumenti costosi utilizzati nella cucina della mensa. Dei due terzi rimanenti uno andrà al Refettorio ambrosiano, l’altro al progetto nel carcere di Bologna.