Una stella di David e la scritta «Juden hier» (qui abita un ebreo) è stata tracciate sulla porta di casa a Mondovì di Lidia Beccaria Rolfi, deportata a Ravensbrück perché staffetta partigiana, e nel campo testimone della  Shoah, nata nel 1925 e morta nel 1996. La falsità della scritta sarebbe tale anche dal solo punto di vista descrittivo. Lidia non era ebrea e non abita certo più lì.
Non basta, è evidente, fermarsi alla descrizione. Chi imbratta tombe e ora trasforma in una specie di lapide tombale una porta di casa dà il predominio della morte e quindi all'odio.
    «Legge 20 luglio 2000, n. 211 - Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.

Art. 1
1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»

  

                                                                                                                  ©Comune di Venezia

 

 In un incontro avvenuto a Ferrara il 16 gennaio scorso, Furio Colombo, alla cui opera si deve il varo della legge, ha ricordato che la data da lui originariamente proposta era il 16 ottobre, il giorno che nel 1943 vide il rastrellamento che portò alla deportazione di oltre mille degli ebrei romani. Le ragioni addotte a sostegno di quella data erano in sostanza due: ricordare la responsabilità italiana (basti pensare agli elenchi che sono serviti alla retata) e additare il silenzio di molti piccoli e grandi, fino a giungere a Pio XII. Fu Tullia Zevi (con un'operazione più accettata che condivisa da Colombo) a sostenere che la data opportuna fosse un'altra, appunto quella del 27 gennaio. I motivi erano sia di allargare lo sguardo a un orizzonte più ampio di quello italiano, sia di recepire le istanze di chi, a iniziare dai deportati politici, ad Auschwitz c'era stato pur non essendo ebreo. Si deve perciò alla più influente dei presidenti avuti finora dall'Unione delle Comunità ebraiche il fatto che il giorno sia invernale e non già autunnale. La scelta è stata opportuna per più ragioni: ha anticipato la data individuata dalle Nazioni Unite nel 2005 (risoluzione 60/7), non ha giustificato né i crimini del fascismo, né i silenzi e, senza pregiudicare la specificità della Shoah ebraica, ha consentito di farla interagire con altri orrori perpetrati dal nazifascismo, infine ha reso possibile tributare un giusto riconoscimento a chi, in varie forme, ha ostacolato la realizzazione del progetto nazista e fascista.
    Si è concordi nel sostenere che il 27 gennaio debba essere considerato non già una celebrazione bensì un impegno aperto verso l'oggi. Come si è soliti ripetere deve durare 365 giorni l'anno. L'allargamento consente maggiori riferimenti alla situazione presente e sollecita ulteriori estensioni. Nella lettera della legge non ci sarebbe, per esempio, spazio per i sinti e i rom che il nazismo ha sistematicamente sterminato. È certo tuttavia che essi sono un banco di prova esigente per il nostro presente.
    Vi sono responsabilità indubbiamente maggiori di quella relativa al modo di celebrare il giorno della memoria, anche quest'ultima è comunque una responsabilità, specie in tempi in cui l'odio è diretto sia contro i vivi sia contro i morti.