Il 16 maggio ci ha improvvisamente lasciato padre Giuseppe Testa, biblista e a lungo collaboratore del SAE e del Gruppo di Piacenza. Pubblichiamo un ricordo a cura della responsabile del gruppo SAE di Piacenza, Lucia Rocchi.

Padre Giuseppe Testa era originario di Cappadocia, provincia de l’Aquila e diocesi di Avezzano, un paese abruzzese a mille metri, dove era nato il 30 agosto 1939. A 12 anni era entrato nella Scuola Apostolica della Congregazione della Missione (i Vincenziani di San Vincenzo de Paoli) a Siena. Aveva proseguito i suoi studi a Piacenza dal 1958 al 1965, poi a Roma alla Gregoriana e al Biblico, dove era stato discepolo anche del Cardinal Martini, conseguendo la doppia licenza in teologia nel 1966 e in scienze bibliche nel 1968 specializzandosi in critica testuale.

Dal 1968 insegnava Sacra Scrittura al Collegio Alberoni di Piacenza, un seminario dove studiano seminaristi diocesani, vincenziani e provenienti da altre diocesi italiane ed estere. Padre Testa è stato un maestro nella lettura della Bibbia, indagandola con il metodo storico-critico, quel metodo che aveva fatto suo perché lo riteneva il più adeguato per osservare oggettivamente i dati della rivelazione cristologica ed avvicinarsi alla conoscenza del mistero di Cristo.

Nel 1974 aveva cominciato a lavorare con e per il SAE di Piacenza. Il gruppo locale SAE, che era nato cinque anni prima, aveva incontrato delle difficoltà a far accettare la propria identità di associazione laica e interconfessionale (Un sacerdote cattolico pretendeva di diventare l’ assistente spirituale e il garante della fede cattolica all’interno del Gruppo). Le responsabili del Gruppo (Gianna Poggi e Lucia Rocchi) si recarono dal Vescovo Mons. Manfredini perché intervenisse presso questo sacerdote. Il Vescovo disse che per fare ecumenismo bisognava studiare seriamente, specialmente Sacra Scrittura, e indicò nel giovane biblista Padre Giuseppe Testa il possibile maestro. Interpellato in proposito, Padre Testa accettò di “provare”. Da allora (1974) per 49 anni egli è stato per il gruppo di Piacenza l’esperto, il maestro, l’amico.

Aveva una mentalità profondamente “laica”, con interessi in tutti campi del sapere, e aveva perfettamente capito l’essenza dell’identità del SAE, lodando Maria Vingiani, che aveva conosciuto direttamente frequentando con i soci di Piacenza le Sessioni de La Mendola, per aver trovato nella laicità e nell’interconfessionalità le sicure garanzie della libertà di ricerca e di dialogo al di là delle pretese confessionali.

In questi 49 anni i soci di Piacenza hanno studiato grazie a lui la Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento): un libro all’anno o, ultimamente, un tema trasversale all’anno e hanno approfondito ogni anno una tematica ecumenica studiando in forma seminariale un documento bilaterale o plurilaterale di teologia ecumenica. I corsi sono stati sempre aperti a tutti tanto da giungere negli ultimi anni a una sessantina di presenze.

Padre Testa si dichiarava spesso fortunato di aver conosciuto il SAE: si era appassionato all’ ecumenismo e, poiché il suo compito specifico era quello di studiare, era diventato un lettore appassionato e critico, umile come solo sanno essere i grandi, ma profondamente preparato e convinto. Le sue competenze ecumeniche gli avevano fatto capire l’importanza di questa dimensione nella preparazione dei futuri sacerdoti e dei laici impegnati nella catechesi e nella pastorale. Per questo da alcuni anni tra le materie del corso di studi del seminario di Piacenza figura un corso quadrimestrale di ecumenismo e nel programma della Scuola diocesana di Teologia per i laici appare un corso di ecumenismo.

Il Visitatore della sua Congregazione, Padre Erminio Antonello, nell’omelia funebre lo ha descritto così: “Padre Giuseppe si presentava con un portamento modesto e schivo. […] non amava gli apparati, li sfuggiva con garbo. […] Il suo era un pensiero penetrante e acuto, solitamente equilibrato, talvolta sbilanciato verso un realismo che poco concedeva alla fantasia e cercava di restare attaccato ai fatti della realtà. In un mondo come il nostro in cui c’è continuamente il gioco delle apparenze, la sua vita è stata un richiamo ad essere coi piedi per terra. Il suo parlare andava all’essenziale, scarno ed essenziale, non parole inutili, giri di parole, andava sempre al nocciolo della questione ed in questo insegnava un metodo. Aveva anche le sue idee, ma non le imponeva, e si mostrava cauto nell’esprimerle quando era in gioco la stima e l’apprezzamento delle persone. Padre Testa sapeva cogliere nei seminaristi il meglio delle loro qualità e le valorizzava, perché ne aveva un profondo rispetto. [...] Nell’insegnamento era esigente, ma poi non pretendeva, si mostrava giusto nei giudizi e, quando si trovava di fronte a seminaristi fragili, li sapeva difendere e valorizzare nelle loro doti personali. Egli pensava che c’era posto per ciascuno in questo mondo, anche per i più deboli e fragili. Nel popolo di Dio c’è un mosaico di presenze e di possibilità.

Questo atteggiamento, descritto nella sua realtà di docente del Collegio Alberoni, era lo stesso che egli teneva in tutti gli ambiti della vita, per cui era in grado di essere e di mettere a proprio agio tutte le persone. Per questo lo hanno pianto e lo piangono i docenti universitari e le vecchiette della parrocchia in cui alle otto della domenica mattina, celebrando l’eucarestia, offriva in modo semplice e alto la Parola del Signore.

Lucia Rocchi