Sono giorni, questi, in cui sento con particolare acutezza la preoccupazione per le sorti del SAE, per il suo futuro immediato e per i suoi ulteriori sviluppi, per le scelte che ci sono e ci saranno richieste. Sono pensieri che non si fermano, ovviamente, entro lo stretto orizzonte della nostra associazione, ma si estendono a quello più ampio del destino ecumenico, della vita delle nostre chiese, della testimonianza che offrono o dovrebbero offrire al mondo (o, per meglio dire, che in esse e con esse offriamo o dovremmo offrire). Ma l’allargamento dello sguardo non può distogliere l’attenzione dal punto che più direttamente ci riguarda. Vorrei e dovrei aggiungere: che mi riguarda; la riflessione generale, infatti, comporta naturalmente anche un esame e un bilancio personale: delle cose fatte e di quelle omesse, delle piste tracciate o seguite e di quelle trascurate, delle risposte date o non date alle istanze delle persone, dei tempi e delle situazioni. Ma so che questa consapevolezza non deve tradursi ora in un discorso troppo personalizzato: quello che voglio condividere è il pensiero rivolto alla nostra condizione comune e al nostro comune impegno, al nostro esserci e al nostro possibile divenire, alla responsabilità che abbiamo nei confronti del nostro passato, della nostra storia, del patrimonio che ci è stato affidato e del modo in cui sapremo spenderlo e metterlo a frutto. Responsabilità che non si esaurisce a livello ideale, ma confluisce in necessità di scelte operative. Il rinnovo della presidenza nazionale – che richiede la disponibilità di persone che ne accettino il carico, e di altre che le aiutino a portarlo – è tra queste.
Sono dunque giorni, come dicevo all’inizio, in cui si affollano pensieri e interrogativi che non è dato rimuovere con leggerezza. Ma sono anche i giorni che ci conducono alla Pasqua ormai imminente. E la Pasqua ci apre a un’altra dimensione, a un’altra misura del tempo; senza sottrarci a questo che ci assorbe nel suo scorrere, senza vanificare o anestetizzare i problemi e gli impegni a cui dobbiamo far fronte, ma lasciando intravedere al di là di essi, e al fondo di essi, una presenza in cui già trovano centro e senso le nostre esistenze e la nostra storia, risposta e pace le nostre inquietudini e le nostre affannose ricerche, approdo ultimo e ragione prima i nostri percorsi, i nostri sforzi, le nostre passioni.
Accordare tale consapevolezza con la fedeltà agli impegni quotidiani e alle responsabilità che ne derivano, senza allentare questa né smarrire la luce di quella (potremmo dire, cercando di dare levità ai termini, accordare la dimensione del tempo con quella dell’eterno), non è sempre facile. Richiede vigilanza e limpidezza spirituale. Richiede, in altre parole, che il nostro spirito sia vivificato dallo Spirito del Signore. È quello che chiediamo alla Pasqua. È l’augurio che ci rivolgiamo in questa Pasqua.