La preghiera e la meditazione biblica  su Michea 6,8 condotta da  Amos Luzzatto (Saggista, presidente della Comunità ebraica di Venezia) ha aperto i lavori della giornata di venerdì 27 luglio 2012, penultima giornata di lavoro della Sessione SAE 2012,  continuati con le relazioni di Debora Spini (Syracuse University in Florence – Firenze) e Giovanni Bachelet, (Gruppo PD, Camera dei Deputati - Roma).

Una celebrazione ecumenica nella cornice del giardino dell'istituto ospitante ha chiuso la giornata con canti, preghiere e la memoria dei giudici Giovanni Falcone, Pietro Borsellino e di don Pino Puglisi.

Al termine della celebrazione i presenti, ma a nome di tutti e tutte, soci amici e simpatizzanti dell'associazione, hanno ringraziato i membri del comitato esecutivo uscente: Simone Morandini, Gioachino Pistone e Lucia Rocchi con il presidente Meo Gnocchi e la moglie Vanna e hanno accolto la nuova presidente Marianita Montresor.

Il profeta Michea (VIII-VII sec. av. E.V.) -ha detto Luzzatto - operò in Giudea approssimativamente ai tempi del re Ezechia e del Profeta Isaia, con il quale condivide quasi esattamente la profezia della fine dei tempi (Isaia 2,2-5.  Michea 4, 1-5).  Michea prevede in più che "tutti i popoli andranno ciascuno sulla strada dei loro dei e noi andremo sulla strada del nostro Dio per sempre". Inoltre - ha sottolineato Luzzatto - Michea esorta i suoi uditori “a farsi dire dall'essere umano che cosa sia il bene e che cosa esiga da loro il Signore, senza dover ricorrere a persone particolarmente ispirate. Questo concetto ci richiama quanto già scritto nel Deuteronomio (30,11-14): la volontà di Dio è vicina agli esseri umani, al loro cuore e alla loro bocca e non va ricercata in Cielo oppure oltre il mare”.

               Resta da capire - ha concluso il presidente della Comunità ebraica di Venezia - che cosa significhino esattamente, nell'ebraico biblico, il "cuore" e la "bocca", che sarebbero rispettivamente le sedi dell'intelligenza e della parola detta.

 

 A indicare possibili piste “Per una nuova etica civile” sono intervenuti Debora Spini (Syracuse University in Florence – Firenze) e Giovanni Bachelet, (Gruppo PD, Camera dei Deputati - Roma)

Cerchiamo di scomporre: in primo luogo bisogna articolare - ha detto la Spini - perché si mette sotto il cappello cittadinanza una sessione su “etica civile”. Cittadinanza e etica: il nodo etica politica: è un problema o no? Perché lo è? “Ovviamente il problema principale è quando scelte morali poggiano su credenze teologiche. La sfida della politica moderna è sganciare la politica dall’etica: il punto non è tanto Machiavelli quanto Hobbes, ossia stabilire il giusto e ingiusto. E separare giusto e buono” ha affermato la relatrice suscitando un acceso dibattito.

Nello spazio pubblico “non si può imporre un buono, il problema è se basta un giusto”.

Altro problema della modernità è una politica senza niente che tenga insieme, che unisca. Parlare di  etica civile “comporta ovviamente il problema della laicità, ma non solo; anche la possibilità di un’etica senza Dio valida per tutti gli esseri umani”.  Grande sfida della modernità è l’ateo virtuoso  proposto da Kant, peraltro personalmente credente.

Particolarità del caso italiano è che si assiste ad un ritorno dei temi etici nel pubblico: ma serve davvero l’etica nello spazio  pubblico? O si tratta forse - si è interrogata la relatrice - di “un problema mal posto”? Poiché “nello spazio pubblico siamo cittadini e cittadine che si trattano l’un l’altro attraverso il medium dei diritti e dei doveri, non di scelte etiche. Quindi piuttosto che parlare di etica pubblica sarebbe meglio pensare a una politica che fa   il suo dovere, che ritrova l’orgoglio della sua dignità”.

Cosa ci stanno a fare i credenti nello spazio pubblico e come ci stanno?  cosa è negoziabile, cosa non è negoziabile? - si è chiesta la studiosa. Un “punto chiave è che quando si parla di etica si parla di identità”, di cui ieri si è ampiamente detto, in senso aperto alla multiculturalità.  Un punto di vista innovativo sulla questione è offerto da Paul Ricoeur: le identità, intese non come blocco, ma come narrazione (pertanto intrinsecamente intersoggettive), servono a sentirsi cittadini. E il percorso “è anche l’altro che ti interroga nel cammino”. A proposito di etica e kerygma ha stigmatizzato le tentazioni dei credenti nello spazio  pubblico, con la sollecitazione a “non cedere alla tentazione di fare i “guardiani dell’etica”.  Il compito delle Chiese nello spazio pubblico è il ruolo di profezia, e non di mera proposta etica. I credenti ci sono per dare linfa e forza alle istanze di giustizia e di equità che salgono dal basso.  Infine ha spezzato una lancia a favore di una “teologia in pubblico”, non di una “teologia pubblica”.

 

Bachelet ha sottolineato che “la società (e la politica che malgrado tutto la riflette abbastanza fedelmente) ha bisogno di rinnovarsi ritrovando una dimensione etica perduta, e l’etica deve dare risposte ai quesiti posti dalla globalizzazione, dai nuovi stili di vita e realtà familiari, da straordinari progressi nelle tecnologie dell’informazione, nella medicina e nelle biotecnologie”.  Alcuni temi  - ha detto con triste ironia - appaiono “non eticamente sensibili (bombardare l’Iraq o evadere le tasse), ma eticamente inediti sì”.

Una “nuova etica civile” ha bisogno di una base sicura. Maritain negli anni ’30 del secolo scorso affermava giustamente, su base politica, che “nessuna democrazia può sopravvivere senza un nucleo morale minimo”. Nel nostro Paese tale nucleo c’è e coincide conla Costituzione, in particolare i primi 12 articoli, sui quali si basa la possibilità di convivere e discutere tutto il resto. “Sono loro i principi  non negoziabili sui quali può basarsi ogni altro negoziato; principi laici profondamente innervati nel cristianesimo”. Ma, “comuni a tutti?” Si è interrogato. “Come cittadino me lo domando, dopo aver assistito attonito, per due decenni, alla riemersioni di becere pulsioni razziste, maschiliste, all’elogio dell’evasione fiscale e dell’illegalità e perfino del tentativo di totale stravolgimento della Costituzione fortunatamente stroncato da un referendum”. Il tutto “con la condiscendente attenzione dei principali quotidiani e purtroppo anche della mia Chiesa”.

Dove abbiamo sbagliato? Perché l’italiano è ancora così incivile? Ideali buttati via con le ideologie o in fondo non ci avevamo mai molto creduto?  Probabilmente una mancata interiorizzazione della Costituzione. Bachelet ha ricordato che “la religione non è mai indifferente rispetto all’etica civile, al senso dello Stato, alla democrazia: o è amica (e lo è stata in varie e poche e parti del mondo) o è una pericolosissima nemica. Una religione amica della democrazia è quella in cui, ordinariamente, i capi religiosi non prendono posizione nelle competizioni politiche ed elettorali, lasciando ai loro fedeli la responsabilità di impegnarsi e puntando come istituzione alla dimensione profetica”.

Seppure “con imperfezioni ed approssimazioni il caso italiano suggerisce che, quando i credenti vivono con libertà e autonomia l’impegno politico, il contributo alla crescita della democrazia è positivo” e “i credenti possono dare in Italia un contributo decisivo ad ambedue i processi: ri-educazione alla Costituzione e riflessione su quesiti eticamente inediti”. Alcuni di essi sono intrinsecamente sopranazionali (globalizzazione dei diritti, transazioni finanziarie) e quasi tutti ci chiedono di diventare un “po’ più europei e un po’ meno papalini e borbonici”. Tanto per la costruzione di un domani capace di uscire dal drammatico stallo economico, sociale e democratico di oggi, quanto per ritrovare la spinta necessaria all’unità europea “la passione disinteressata dei credenti e l’esperienza del metodo ecumenico possono dare contributi decisivi, soprattutto di speranza”.  Il relatore ha concluso con un accento di ottimismo: “Abbiamo vissuto momenti peggiori di oggi. Con l’aiuto di Dio, rilanciando le basi morali e civili della nostra Costituzione e la spinta all’unità europea, il domani potrà essere anche migliore”.