06 gennaio 2017

Il dialogo ecumenico tra le Chiese ha una storia lunga e fruttuosa. Ma dal momento che la guerra e il terrorismo minacciano l'esistenza delle chiese in Medio Oriente, i cristiani di questa regione si sentono sempre più trascurati dai loro partner occidentali.

La protesta emotiva di un pastore che opera ad Aleppo si è levata il secondo giorno di una conferenza sul dialogo Est-Ovest. "Voglio vedere alcuni piani di azione, non solo analisi",  Haroutune Selimian, pastore della Chiesa evangelica armena Bethel, ha detto durante una sessione sulla costruzione di ponti tra l'Oriente e l'Occidente.

Un rappresentante della chiesa dalla Germania aveva poco prima parlato della prospettiva occidentale sulla presenza cristiana in Medio Oriente e di come sia difficile affrontare questo problema nelle società occidentali. Tuttavia, Selimian non poteva trattenersi più a lungo. La sua parrocchia di Aleppo devastata dalla guerra è sotto attacco quasi tutti i giorni da parte dei ribelli. La sua chiesa ha perso più di due terzi dei suoi membri nel corso degli ultimi anni, sia per morte sia per la migrazione.

"Viviamo in una guerra; le persone stanno gridando per cercare  aiuto. Hanno bisogno di direzione, non solo di aiuto materiale. Abbiamo bisogno di cristiani che si trovino in vera comunione con noi. E questo non vuol dire aprire le vostre porte e svuotare il nostro paese".

Nel giro di un minuto, Selimian aveva riassunto le due critiche principali dei cristiani del Medio Oriente nei confronti dei loro partner occidentali: che non sono abbastanza consapevoli della crisi esistenziale che le chiese d'Oriente stanno vivendo; e che la cosiddetta politica della porta aperta per i rifugiati in Europa e soprattutto in Germania sta facilitando l'emigrazione delle persone che sono più strettamente necessarie  per poter realizzare la pace e la riconciliazione.

Dall’inizio della guerra in Siria e dell'ascesa dell’ ISIS in Iraq e in altre aree, i delegati delle chiese occidentali e le organizzazioni umanitarie devono sempre più spesso affrontare la delusione dei loro fratelli e delle loro sorelle del Medio Oriente. "Non abbiamo visto azione dopo che i politici e le chiese occidentali avevano espresso la loro preoccupazione", dice il Vescovo Munib Younan della Chiesa evangelica-luterana di Giordania e Terra Santa. "Sentiamo spesso i leader delle Chiese occidentali che ci chiedono: 'Cosa possiamo fare per voi?' Non sono consapevoli che questo è un approccio paternalistico, che in aggiunta ci separa ingenuamente dai nostri vicini musulmani? Ci aspettiamo che i nostri partner in tutto il mondo prendano posizione insieme a noi noi come fratelli e sorelle.

Ma cosa significa questo in tempi di crisi e di disordini? Molte chiese occidentali e  organizzazioni di aiuto stanno finanziariamente sostenendo progetti cristiani nella regione. Tuttavia, i cristiani del Medio Oriente ancora si sentono trascurati

L’arcivescovo Gabriele Caccia, che è nunzio apostolico in Libano e ha vissuto per decenni in Medio Oriente, vede incomprensioni e frustrazioni da entrambe le parti. "Nelle chiese in Occidente si può trovare una sorta di 'allergia' a non privilegiare un gruppo", dice. "In Oriente, invece, i cristiani non capiscono ciò che i cristiani in Occidente stanno facendo. Quando le chiese occidentali aiutano tutti, si sentono trascurati. Essi sostengono che i musulmani della regione che soffrono sono aiutati da altri stati che sostengono solo i musulmani ".

L’altra parte, l'Occidente, non capisce la frustrazione. "Bussate alla porta dell’Ovest ed essi non  capiscono il motivo per cui bussate a quella porta."

Per Caccia, il grande problema tra l'Oriente e l'Occidente non è il cosiddetto scontro di civiltà. "C'è uno scontro di ignoranza da entrambe le parti. Stereotipi di base dominano la percezione reciproca", dice Caccia. "Ma non possiamo uscire da questa crisi da soli. Siamo tutti uniti, cristiani e musulmani, orientali e occidentali, e tutti dobbiamo rimettere a fuoco la centralità della persona umana ."

Per questo otivo ponti solidi sono più necessari che mai. Paul Haidostian, presidente della evangelica armena Haigazian University di Beirut, spiega attraverso il simbolo di un ponte il significato di partenariato. "Perché i ponti ppossano essere efficienti è necessario che le loro fondazioni siano robuste. Su entrambi i lati i pilastri devono essere forti. Più forti sono i pilastri, più forte e più duraturo sarà il ponte", dice. "Ma un ponte è utile solo quando lo si attraversa. Partnership significa mettersi nei panni dell'altro. In caso contrario, non funziona”.

Katja Buck*                        

 

* Katja Dorothea Buck,  esperta di politica e religione, lavora in Germania come giornalista con attenzionespeciale ai cristiani in Medio Oriente