Carissimi tutti e tutte, tra pochi giorni sarà Natale. Molti di noi, forse la maggior parte, spesso arriva “con l'acqua alla gola” a questa grande festa cristiana, tra impegni professionali che urgono fino a poche ore prima, responsabilità familiari ineludibili...tutto ciò, insomma, che fa la nostra quotidianità. E in più ci sono quasi sempre le corse a cercare i regali, a organizzare il menu per la festa in famiglia, come vuole una tradizione ancora molto radicata, anche in tempi di crisi. In un mondo confuso e stordito, dove già si vive “di corsa”, dove ci siamo adattati a ritmi sempre più frenetici, sempre meno umani, anche il Natale può diventare motivo per correre un po' di più. E allora rischiamo di perdere ciò che è essenziale a questo tempo: il senso dell'attesa e la capacità di vigilare nel silenzio, nella calma. Nelle nostre città convulse anche chi non corre può vivere un disagio profondo: nessuno sembra più aver il tempo di attendere, di incontrare e ascoltare l'altro (e tanto meno l'Altro!), e allora la solitudine diventa una gabbia.

A questi pensieri mi rimanda una splendida poesia di Clemente Rebora, che vi offro come augurio di Natale: Dall'immagine tesa. Fu scritta poco prima della conversione al cristianesimo, quando un'altra solitudine, dettata dal senso di una mancanza, dall'assenza di una Presenza, sembrava non dare scampo al cuore sfiduciato del poeta. Ma a poco a poco affiora una sete che spinge a seguire anche le tracce più deboli di qualcosa di molto prezioso che si preannuncia e lascia intravvedere, come promessa, una inaspettata apertura di orizzonti:

Dall'immagine tesa
vigilo l'istante
con imminenza d'attesa-
e non aspetto nessuno;
nell'ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono-
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto-
non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d'improvviso
quando meno l'avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.
(da Canti anonimi)

In questi tempi difficili che sembrano privi di speranza, quando la crisi economica stringe sempre di più, i diseredati aumentano e tante famiglie devono sopportare vari disagi, il senso di solitudine e il vuoto dello spirito possono prendere anche noi: anche noi possiamo non aspettare nessuno, come più volte è ripetuto in questa bella lirica. Ma la svolta improvvisa è lì, nei versi di Rebora; quasi uno scioglimento, a esprimere il desiderio di Qualcuno che entri nella nostra vita e la cambi: ma deve venire...verrà... viene... In questo crescendo emerge una speranza che abita nel profondo anche ciascuno di noi, e come seme gettato da un Altro buca la terra, si fa strada e germoglia, diventa certezza. Chi, che cosa viene? Il suo bisbiglio, recita l'ultimo verso. Il bisbiglio è voce flebile, che solo chi è capace di silenzio, chi è nell'atteggiamento dell'attesa, può raccogliere. Che il bambino Gesù, il Veniente, possa farci udire la sua flebile voce, simile a un bisbiglio, nella carne di ogni uomo che vive, che soffre, che ama. Oggi ancora in modo nuovo.